“Ricordati il tesserino!”
Sono le parole con cui mia moglie mi saluta ogni mattina.
È il suo buongiorno, un modo come un altro per augurarmi buon lavoro, da più di trentasei anni.
Mi chiamo Giuseppe, sono un addetto al servizio di pulizia della stazione Porta Nuova di Torino.
Mi sono stabilito qui da quando – poco più che ventenne – ascoltai il consiglio di mio padre che mi suggeriva di venire al Nord a cercare fortuna.
Ricordo ancora il momento dei saluti, davanti alla fermata dei pullman nel centro di Barletta: un abbraccio, cinquantamila lire in biglietti da dieci, un sacchetto con una porzione di pasta al forno con i carciofi ed un insegnamento che – qualche tempo dopo – si rivelò un’incredibile profezia.
Mi disse che qualsiasi mestiere avessi scelto di fare, avrei dovuto sforzarmi di realizzarlo al meglio
come se, da ogni mia piccola azione, dovesse dipendere necessariamente qualcosa di buono.
Se anche avessi stabilito di fare lo spazzino, insomma, il mio marciapiedi sarebbe dovuto diventare il più pulito.
Dopo un periodo di ambientamento in Piemonte ed una serie di saltuarie occupazioni sono entrato in una cooperativa che gestisce il servizio di nettezza di Porta Nuova.
Mi sentivo realizzato.
Qualche tempo dopo conobbi Luisella, ci sposammo e da allora mi sveglio ogni mattina padre di famiglia.
Esco ogni giorno alle 05:30, prendo il tram n.92 e scendo in via Sacchi angolo Corso Vittorio.
Binari 1÷20, tutti i servizi igienici, biglietteria, ufficio oggetti smarriti, sala di controllo ed area d’attesa, qui mi sento a casa.
Dopo tanti anni di attività conosco ogni mattonella di questa stazione, anche la sua gente: una marea umana che ogni giorno riempie gli spazi.
Intendiamoci, non posso dire di saper distinguere con esattezza ogni volto, certo, ma riconosco i tipi.
Ci sono gli “invisibili”, i pendolari, i vacanzieri e gli esploratori di lungo corso: viaggiatori, ciascuno con impressa negli occhi la propria destinazione.
Poco importa che si tratti di un luogo preciso, tutti sono in cerca di una strada.
1. Sala d’attesa
La sala d’attesa è senza dubbio il luogo d’incontri che preferisco.
Mi piace guardare il mondo che sosta osservandolo da vicino, sentirne le storie, immaginarne i pensieri.
Stamattina c’è un ragazzo che fa discorsi sul nucleare, beve vino da una bottiglia Laurisia e parla con una voce simile a Tom Waits.
Un chitarrista Metal, che ripassa gli accordi di un pezzo che non sento, ascoltando il brano al suo lettore Mp3.
Un gruppo di sordomuti giovanissimi: due di loro si guardano, credo siano innamorati.
Distesa su quelle tre sedie laggiù, invece, c’è Renata.
In genere arriva qui tra le luci della sera, quando chiudono i negozi.
Si sistema sempre nella stessa piega della stanza, il più lontano possibile dalla porta d’ingresso.
Monta e smonta, tutte i giorni che Dio mette sulla terra. Al mattino raccoglie le sue coperte in ordine inverso a quello con cui le ha dispiegate la sera prima e le ripone con cura in un grande borsone.
Esegue questi gesti con la sacralità di un rito, conversando a bassa voce con qualcuno che non c’è.
Sono veri e propri dialoghi,
con pause, silenzi, risposte a domande ripetute,
risposte a domande pensate.
2. Le partenze
Maglione rosso corallo, capelli brillantinati con ciuffo ondulato all’indietro, come nei telefilm americani anni ’70.
Un libro dal titolo impronunciabile tra le mani ed uno scatolotto con dentro due criceti adagiato accanto a sé.
Si presenta così il fumatore seduto sulla panchina del binario 13, davanti al Frecciarossa n.9805 per Lecce delle 09:10.
È una sagoma. Molto strano, non c’è che dire.
Ha una borsa poco più grande della casa dei suoi piccoli amici e l’aria di una persona che ha riflettuto troppo: pensieri che gli hanno fatto scoppiare la testa – in passato – ma che adesso nemmeno lo sfiorano.
Sembra sereno, ha l’aspetto di chi se ne frega.
D’altronde serve personalità per indossare un maglione così rosso, leggere un libro così curioso e trasportare criceti su un treno nell’ora di punta.
Al Binario 4, invece, c’è un uomo che aspetta il treno per Aosta n.2725 delle 11:25.
E’ accompagnato da un grande zaino, bastone, cappello a falda larga ed ha lo sguardo di chi ha difronte a sé un’avventura.
Mi rivolgo a lui per augurargli buon cammino: si chiama Franco, ha 65 anni, ma non li dimostra.
Dice di essere diretto al Gran San Bernardo per cominciare un lungo percorso a ritmo lento.
Mille chilometri di strade che attraversano le montagne e scendono verso le pianure: antichi borghi, torrenti,
le storie dei passanti.
Franco mi spiega che quest’ultime sono la parte che più gli interessa, cerca uno scambio: vuole portare con sé qualcosa degli altri, lasciando a tutti qualcosa di proprio.
La sua più grande aspirazione è riempire il suo inseparabile taccuino di racconti.
3. Gli arrivi
Alle sedie arringate davanti al tabellone degli arrivi vedo una signora molto anziana che legge “Il piccolo principe”.
La guardo affascinato, cercando inutilmente di non farmi notare.
Lei se ne accorge, chiude il libro e sorridendomi racconta di aver riletto quelle pagine più di dieci volte, in momenti sparsi, riscontrando che – quelle righe – appaiono nel tempo sempre diverse.
Ogni spicchio della sua vita, dall’infanzia fino alla maturità, le aveva permesso di apprezzare sfumature di cui non si era mai accorta prima.
Leggendolo ho capito che è davvero così: questo è il potere del Piccolo Principe, riuscire ad essere sempre inspiegabilmente perfetto per il momento che si sta attraversando.
Poco più in là c’è un tipo sulla trentina in piedi davanti al binario 7, dov’è appena stato annunciato l’arrivo del treno Freccia bianca proveniente da Trieste.
Lungo impermeabile beige, coppola a scacchi, un accenno di barba ed un paio di occhialini tondi alla John Lennon.
Stringe tra le mani un mazzo di fiori, un mix di margherite gialle e garofani bianchi.
Lanciati ragazzo e buona vita.
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Ora è tempo di tornare, la giornata è volata.
Percorro la strada che mi riporta a casa rifacendo lo stesso percorso del mattino, ma a rovescio.
Mi piace quel momento in cui inserisco le chiavi nella toppa ed apro la porta: una frazione di ascolto e capisco subito se Marcella e Beppe sono venuti a trovarci con il resto della truppa, la famiglia è il mio orgoglio.
Oggi sono qui, sento le voci dei loro passi.
Stanno correndo, come chi arriva per dire qualcosa di importante:
“Nonno, hai saputo in stazione? Ci sarà la prima edizione di un concorso letterario per racconti di viaggio.
Provaci!“
Genova, Gennaio 2023