L’esplosione

Gli alberi sono pieni di germogli
I rami, scuri ed irti, puntellati di verde
Una settimana, forse meno
Manca poco al giorno dell’esplosione
di primavera, di polline che riempie l’aria
e diventa boccone prelibato per le api.
Gli alberi si affoltiranno di foglie grandi,
ventagli mossi dal vento che arriverà.

Marzo 2024

La coperta di pezze colorate

In via XX Settembre, a Trieste, c’era la sartoria di Palmira e Giovanni.
Triestina lei, classe 1910, nata sotto il regno di Sua Maestà Francesco Giuseppe
Calabrese lui, arrivato in quel porto del nord con una vecchia Singer a pedale e la voglia di fare fortuna.

La casa era anche il loro laboratorio: grandi armadi pieni di stoffe, pizzi, velluti, strisce di raso
Le idee nascevano da una richiesta e, dopo aver preso le misure, si trasferivano su carta.
Iniziava quindi la trasformazione
infine, si passava nella sala di prova,
dove quei pezzi di stoffa diventavano tailleur, abiti da sera, giacche e cappelli indossati
da eleganti Signore, arrivate da lontano a bordo di grandi navi da crociera
o da uomini con baffi affusolati e lunghe basette, che si reggevano su bastoni con il pomello d’argento o d’avorio.

Un giorno, bussò alla porta della bottega un signore mai visto prima.
Chiese una coperta fatta di ritagli di stoffa colorata
Calda e imbottita, voleva farne un regalo per una giovane coppia di sposi.

La richiesta sorprese Palmira e Giovanni:
nulla di elaborato, apparentemente
Raccolsero dunque vecchie pezze avanzate ed iniziarono la cucitura

C’erano due stralci, uno di ascolto e l’altro di dialogo
un grosso avanzo di rispetto, una striscia di fiducia,
accettazione, comprensione, uno scampolo di complicità,
diversi rimasugli di disponibilità
e infine tanti ritagli di tempo

Passarono i giorni, ma nessuno tornò dai due sarti per ritirare la coperta commissionata.
Il Mandante non lasciò denaro, ma solo un biglietto – recapitato per posta – mesi dopo:
“per i vostri inverni” – c’era scritto.

Torino, Novembre 2023

Anziani

Zigomi scolpiti
solchi lungo le guance,
rughe che tratteggiano la fronte,
unici spazi risparmiati dal Sole caldo che
– insieme al tempo –
arriccia la pelle.
Mani indurite e dita storte,
ma delicate abbastanza per dispensare carezze
Grembiuli e gilet,
scialli anche quando fa caldo
Un bastone per continuare a guardare diritto.
Voci tiepide.

Luglio 2023

La somma di tutte le voci

Non leggete a voce alta i vostri pensieri,  nè i racconti o quegli stralci che chiamate poesie.
Non leggeteli a voce alta, finireste per rovinarli
dando alle parole un tono sbagliato ed un ritmo che deconcentra chi ascolta.
Abbandonateli.
Ai bordi delle strade, alle pensiline dei pullman, imbrigliati nelle reti dei pescatori.
Permettete che ciascun possa imbattersi per caso in quelle righe e possa leggerle nel silenzio
o, al più, con il sottofondo di bambini al parco, di acqua che scorre, di una metro che annuncia – puntuale – la sequenza delle sue fermate.

Non leggete a voce alta le vostre parole.
Al massimo lasciatele leggere a chi ne è capace
A chi sa interpretare
A chi ha una una voce che sa essere la somma di tutte le voci.

Genova, Luglio 2023

DieciNote & VecchioSax

DieciNote è tornata.
Identico incrocio di strade,
Stessa espressione incantata
Solito organetto con cui ripete – senza sosta – un motivo sempre uguale
Dieci note, non una di più.
 
Ha l’aria spaesata di chi arriva da lontano.
Non sembra interessata ai suoni,
né agli occhi della gente che,
con cadenza semaforica, le sfila davanti per tutto il giorno.

 
Poco più in là c’è VecchioSax.
Lui non ha un posto fisso,
il suo palcoscenico sono i portici di via XX fino a Piazza De Ferrari,
Via XXV Aprile, via Garibaldi e pure via Balbi,
qualsiasi strada dove il ritmo del passeggio sia lento.
 
La sua musica si annuncia già a distanza,
con uno stile riconoscibilissimo fatto di note ogni volta diverse
spaiate e solitarie come appare lui.
Parrebbe una melodia a casaccio, in cui – però – io sento una logica.
È Jazz
e quell’uomo non sta suonando solo per gli altri,
si diverte.
 
Una sera ho visto VecchioSax e DieciNote andare via insieme:
gli strumenti assicurati alle spalle e mani libere per fabbricare parole.
Segni, che insieme compongono intere frasi, racconti.
 
DieciNote quindi non sente
E VecchioSax? Non è mai stato solo.
 
Genova, Giugno 2023

Pisa e Livorno

Pisa e Livorno si sono conosciuti un giorno di fine aprile.
Esuberante e scanzonato lui, uomo di mare
Delicata e aggraziata lei, pelle color del marmo.

Si sono incontrati sul prato verde di Piazza dei Miracoli.
Niente ombra, solo tanto sole sopra questo spazio
attraversato dai secoli che – come turisti –
camminano con il naso all’insù,
studiando la prospettiva migliore per fissare la torre pendente,
esempio magnifico della testardaggine di grandi uomini.

Pisa era già lì, c’era sempre stata.
Livorno era di passaggio, in cerca di una sosta.

Si guardarono e si capirono.
Succede così tra questa gente di Toscana
dal tono diretto e dall’indole generosa.

Parlarono di antiche rievocazioni e di ricette
Baccalà e Cacciucco,
di Terrazza Mascagni e dei Lungarni,
dove le sere di primavera si chiacchiera con le gambe penzoloni.

Si scoprirono vicini,
appena sedici minuti di regionale veloce ed una manciata di nuvole,
quelle su cui lei – romantica sognatrice – ondeggiava a passo di danza
quelle sotto cui lui – fiero marinaio – fischiava, aspettandola ai bordi del binario 4.

Torino, Aprile 2023

Andata / Ritorno

“Ricordati il tesserino!”
Sono le parole con cui mia moglie mi saluta ogni mattina.
È il suo buongiorno, un modo come un altro per augurarmi buon lavoro, da più di trentasei anni.

Mi chiamo Giuseppe, sono un addetto al servizio di pulizia della stazione Porta Nuova di Torino.
Mi sono stabilito qui da quando – poco più che ventenne – ascoltai il consiglio di mio padre che mi suggeriva di venire al Nord a cercare fortuna.
Ricordo ancora il momento dei saluti, davanti alla fermata dei pullman nel centro di Barletta: un abbraccio, cinquantamila lire in biglietti da dieci, un sacchetto con una porzione di pasta al forno con i carciofi ed un insegnamento che – qualche tempo dopo – si rivelò un’incredibile profezia.

Mi disse che qualsiasi mestiere avessi scelto di fare, avrei dovuto sforzarmi di realizzarlo al meglio
come se, da ogni mia piccola azione, dovesse dipendere necessariamente qualcosa di buono.
Se anche avessi stabilito di fare lo spazzino, insomma, il mio marciapiedi sarebbe dovuto diventare il più pulito.

Dopo un periodo di ambientamento in Piemonte ed una serie di saltuarie occupazioni sono entrato in una cooperativa che gestisce il servizio di nettezza di Porta Nuova.
Mi sentivo realizzato.
Qualche tempo dopo conobbi Luisella, ci sposammo e da allora mi sveglio ogni mattina padre di famiglia.
 
Esco ogni giorno alle 05:30, prendo il tram n.92 e scendo in via Sacchi angolo Corso Vittorio.
Binari 1÷20, tutti i servizi igienici, biglietteria, ufficio oggetti smarriti, sala di controllo ed area d’attesa, qui mi sento a casa.
Dopo tanti anni di attività conosco ogni mattonella di questa stazione, anche la sua gente: una marea umana che ogni giorno riempie gli spazi.
Intendiamoci, non posso dire di saper distinguere con esattezza ogni volto, certo, ma riconosco i tipi.
Ci sono gli “invisibili”, i pendolari, i vacanzieri e gli esploratori di lungo corso: viaggiatori, ciascuno con impressa negli occhi la propria destinazione.
Poco importa che si tratti di un luogo preciso, tutti sono in cerca di una strada.
 
1.    Sala d’attesa
 
La sala d’attesa è senza dubbio il luogo d’incontri che preferisco.
Mi piace guardare il mondo che sosta osservandolo da vicino, sentirne le storie, immaginarne i pensieri.
Stamattina c’è un ragazzo che fa discorsi sul nucleare, beve vino da una bottiglia Laurisia e parla con una voce simile a Tom Waits.
Un chitarrista Metal, che ripassa gli accordi di un pezzo che non sento, ascoltando il brano al suo lettore Mp3.
Un gruppo di sordomuti giovanissimi: due di loro si guardano, credo siano innamorati.
 
Distesa su quelle tre sedie laggiù, invece, c’è Renata.
In genere arriva qui tra le luci della sera, quando chiudono i negozi.
Si sistema sempre nella stessa piega della stanza, il più lontano possibile dalla porta d’ingresso.
Monta e smonta, tutti i giorni che Dio mette sulla terra. Al mattino raccoglie le sue coperte in ordine inverso a quello con cui le ha dispiegate la sera prima e le ripone con cura in un grande borsone.
Esegue questi gesti con la sacralità di un rito, conversando a bassa voce con qualcuno che non c’è.
Sono veri e propri dialoghi,
con pause, silenzi, risposte a domande ripetute,
risposte a domande pensate.
 
2.    Le partenze

Maglione rosso corallo, capelli brillantinati con ciuffo ondulato all’indietro, come nei telefilm americani anni ’70.
Un libro dal titolo impronunciabile tra le mani ed uno scatolotto con dentro due criceti adagiato accanto a sé.

Si presenta così il fumatore seduto sulla panchina del binario 13, davanti al Frecciarossa n.9805 per Lecce delle 09:10.
È una sagoma. Molto strano, non c’è che dire.
Ha una borsa poco più grande della casa dei suoi piccoli amici e l’aria di una persona che ha riflettuto troppo: pensieri che gli hanno fatto scoppiare la testa – in passato – ma che adesso nemmeno lo sfiorano.
Sembra sereno, ha l’aspetto di chi se ne frega.
D’altronde serve personalità per indossare un maglione così rosso, leggere un libro così curioso e trasportare criceti su un treno nell’ora di punta.

Al Binario 4, invece, c’è un uomo che aspetta il treno per Aosta n.2725 delle 11:25.
E’ accompagnato da un grande zaino, bastone, cappello a falda larga ed ha lo sguardo di chi ha difronte a sé un’avventura.
Mi rivolgo a lui per augurargli buon cammino: si chiama Franco, ha 65 anni, ma non li dimostra.
Dice di essere diretto al Gran San Bernardo per cominciare un lungo percorso a ritmo lento.
Mille chilometri di strade che attraversano le montagne e scendono verso le pianure: antichi borghi, torrenti,
le storie dei passanti.
Franco mi spiega che quest’ultime sono la parte che più gli interessa, cerca uno scambio: vuole portare con sé qualcosa degli altri, lasciando a tutti qualcosa di proprio.
La sua più grande aspirazione è riempire il suo inseparabile taccuino di racconti.
 
 
3.    Gli arrivi
 
Alle sedie arringate davanti al tabellone degli arrivi vedo una signora molto anziana che legge “Il piccolo principe”.
La guardo affascinato, cercando inutilmente di non farmi notare.
Lei se ne accorge, chiude il libro e sorridendomi racconta di aver riletto quelle pagine più di dieci volte, in momenti sparsi, riscontrando che – quelle righe – appaiono nel tempo sempre diverse.
Ogni spicchio della sua vita, dall’infanzia fino alla maturità, le aveva permesso di apprezzare sfumature di cui non si era mai accorta prima.
Leggendolo ho capito che è davvero così: questo è il potere del Piccolo Principe, riuscire ad essere sempre inspiegabilmente perfetto per il momento che si sta attraversando.
 
Poco più in là c’è un tipo sulla trentina in piedi davanti al binario 7, dov’è appena stato annunciato l’arrivo del treno Freccia bianca proveniente da Trieste.
Lungo impermeabile beige, coppola a scacchi, un accenno di barba ed un paio di occhialini tondi alla John Lennon.
Stringe tra le mani un mazzo di fiori, un mix di margherite gialle e garofani bianchi.
Lanciati ragazzo e buona vita.
 
—————–
Ora è tempo di tornare, la giornata è volata.
Percorro la strada che mi riporta a casa rifacendo lo stesso percorso del mattino, ma a rovescio.
Mi piace quel momento in cui inserisco le chiavi nella toppa ed apro la porta: una frazione di ascolto e capisco subito se Marcella e Beppe sono venuti a trovarci con il resto della truppa, la famiglia è il mio orgoglio.

Oggi sono qui, sento le voci dei loro passi.
Stanno correndo, come chi arriva per dire qualcosa di importante:

“Nonno, hai saputo in stazione? Ci sarà la prima edizione di un concorso letterario per racconti di viaggio.
Provaci!“

Genova, Gennaio 2023

Le mattine di gennaio

Le mattine di gennaio, nei dintorni di Torino, iniziano spesso avvolte dalla foschia.
Il treno attraversa grandi campi di ortaggi coperti dalla brina,
mentre il sole – ancora basso – fa capolino dietro un tappeto di nubi.

Che strani giochi di luce.
Sono illusioni che, in lontananza, fanno  apparire la vegetazione – fitta di rami – come colline dai contorni frastagliati.
Le cascine invece, isolate qua e là, sembrano castelli.

Cosa ci fa quel furgoncino ai bordi delle rotaie che corrono, diritte, verso la stazione di Asti?
Di certo qualcuno abita quel luogo.

Pian piano il sole si alza e la nebbia si dirada.
Iniziano ad intravedersi i pioppi allineati come soldati in fila indiana, una stradina di campagna e, poco al di là, il bosco.

Ad ogni stazione c’è qualche passeggero che scende: avanza di spalle, camminando veloce verso le scale che portano all’uscita.

Per una frazione di secondi invece, incrocio lo sguardo di chi aspetta, in piedi, lungo il binario.
Gente diversa, attorcigliata in pesanti cappotti, che porta con sé bagagli di ogni forma.
Tutti però, hanno qualcosa che li accomuna: è l’espressione di chi si volta per guardare l’arrivo del treno.

Treno Torino-Genova, Gennaio 2023

Rita

Rita non parla.
O meglio, Rita non parla in base alla concezione che noi – gente di suoni – intendiamo per linguaggio verbale.
La diagnosi fatta al momento della nascita, infatti, è stata soltanto: “afona, priva di voce”.
Da allora è cresciuta in un mondo silenzioso, in cui la comunicazione è composta da una miscela di pat-pat, sguardi, movimenti accurati di ciascuno dei trentasei muscoli facciali e da una serie interminabile di schiocchi con le dita.
Rita è felice.
Ha una famiglia numerosa, un nonno che le ha insegnato a coltivare le piante, una passione per i balli occitani e la sensazione di non aver perduto mai un istante.
La positività che l’ha sempre accompagnata ha subíto una decisa impennata il giorno in cui ha imparato a scrivere, scoprendo – nella ritualità di quel gesto – la chiave per riuscire a trasmettere tutto ciò che non riusciva a dire.
Rita lavora nella redazione del gazzettino della Valle.
Fa la dattilografa, trascrive sulla sua Olivetti Lettera 22 gli appunti dei taccuini di altri: sono la descrizione delle feste popolari, il commento agli esiti delle elezioni, il resoconto dell’ultima vendemmia o la cronaca della domenica calcistica del campionato dilettanti che raccoglie le squadre dei paesi limitrofi.
La sera, esausta, dismette i panni dell’impiegata modello ed indossa quelli di un’artista.
Un’artigiana, per meglio dire,
che con l’inseparabile Auretta annota una scrittura fatta di attimi,
di dettagli microscopici e dei segni che la gente si porta addosso
– a volte – inconsapevolmente.
Non si tratta di poesia nè di racconto: lei preferisce definirlo il ‘non genere’.
D’altronde, non è necessario – ogni volta – classificare, definire delle categorie, mettere dei limiti: ci sono cose che vale la pena di lasciare libere di scorrazzare negli spazi,
sono i pensieri.

Rita non parla, scrive.
L’inchiostro è diventato voce.

Novembre 2022

A rapporto, Capitano

Si presenta così, il Capitano Norman.
Un omone alto quattro braccia di fune.
Pantaloni neri raccolti in un paio di stivali di pelle scura.
Camicia di lino bianca con qualche bottone dimenticato fuori dall’asola.
Niente freddo, zero preoccupazione della pioggia.
I capelli lunghi, canuti e adagiati con disordine sulle spalle
barba grigia ed un sigaro, che fuma con il gusto di chi sta per salpare
per nuovi mondi,
incontri chissà,
scoperte.
 
Basta guardarlo per accorgersi che – la sua – dev’essere una vita che sa di salsedine.
E bussole, stelle, grida che si mescolano al vento.
Poi silenzi.
 
Non sembra venire da questo tempo, ha l’aria di chi fa parte di qualcosa di lontano
o perfino dell’immaginazione di qualcuno.
 
Non importa, in fondo.
 
Mi domando soltanto cosa lo abbia portato davanti al tabellone delle partenze di Genova-Piazza Principe
proprio nel giorno in cui un terremoto, che non si registrava da cinquecento anni, ha paralizzato il traffico ferroviario dell’intera provincia.

Un capitano, che aspetta un treno, che forse non arriverà.
Curioso.
 
Come tutte le storie dovrà pur esserci un finale, ma preferisco lasciarlo andare

Al suo viaggio, a quel sigaro
A quel treno che forse non arriverà
A quella nave che forse è già arrivata.

Genova, Settembre 2022

L’arte di affettare

A Ferrara le biciclette sfrecciano.
Corrono veloci su strade piane, abbastanza larghe, spesso ombrate, che amplificano il suono dei raggi così come le voci dei ragazzi.

Non è baldoria la loro.
È saper stare.

Tutto si muove su un sottile equilibrio tra divertimento e lavoro,
spensieratezza e operosità.
Cura, per una cittadina che funziona.

Qui, anche affettare è diventata un’arte,
eseguita con la ritualità dei gesti lenti.
Lontane tradizioni, orgoglio di questi territori.

Antiche facciate, cappellacci e prosciutti, affreschi e teatro.
C’è una storia che riempie ogni spazio,
È un percorso, mescolato – in ogni parte – dai segni lasciati dagli Estensi.

Qui si ride molto e si ringrazia, sempre.

È come se il concetto di ‘bella vita’ abbia trovato – in questo piccolo centro – il suo significato più puro.

Il saluto a Ferrara passa attraverso le corde del chitarrista bulgaro che suona una versione riarrangiata di ‘My Way’ vicino al ponte levatoio sud.
È un arrivederci.

Ferrara, settembre 2022

Radio Genova

Esempi di genovesitá d.o.p.

Compro un cono di fritto in una friggitoria di Sottoripa. La regola prevede che ci si possa sedere ai tavoli “en plein air” del baretto accanto (cupo, triste e senza nemmeno un panino esposto) a condizione che si acquisti qualcosa da bere.
Benissimo, mi accomodo.
Arriva una famiglia di olandesi, indecisi su cosa prendere e dove. Nel frattempo i bambini, esausti dal caldo, si siedono qualche minuto.
Prontamente arriva la proprietaria del bar che, con sguardo da gorgone, intima loro di alzarsi – a meno che non prendano una consumazione.
La signora capisce – dopo qualche secondo – che i bambini sono stranieri e non afferrano il comando, allora tira fuori tutta la sua esperienza internazionale ed emette un sonoro e letterale “sitts”, accompagnandolo con gesto della mano.
I bambini intelligenti capiscono e raggiungono i genitori.
La signora, orgogliosa per quel suo prepotente slancio anglofono ritorna nella sua grotta buia, ad aspettare che qualcun altro – come me – entri, con il suo allegro cono di fritto, a chiederle una banalissima bottiglietta d’acqua.

Genova, Agosto 2022

Sono nato ancora

Mi chiamo Antonio e sono nato in una sera d’estate.
Quando avevo poche ore, la Mamma mi ha avvolto in un panno, mi ha dato un po’ di latte e mi ha cantato una canzoncina per farmi addormentare.
Poi mi ha accomodato al centro di una culla a forma di bidone per proteggermi dal freddo.
Si stava bene, era solo tanto buio.
Siccome iniziavo a sentirmi solo ho pensato di piangere.
Vi sorprenderá, ma ho avuto una fortuna incredibile.
Proprio in quel momento infatti, passava di lì Salvatore che, incuriosito dal mio pianto, aprì il cassonetto: pensava che fosse un gattino, invece ero io.

Non ho mai saputo il motivo che mi abbia portato lì.
Ci ho pensato così tante volte che, alla fine, ho inventato una storiella a cui ho deciso di credere: doveva essere una mamma-bambina.
Nessuna famiglia che si occupasse di me, nessun compagno disposto a prendersi cura di lei. Niente di niente.

Da quel giorno sono passati molti anni.
Salvatore e Giusy sono diventati i miei genitori.
Io sono cresciuto ed ho fatto del mio meglio.
Mi capita spesso però, di ripensare a Lei.
Chissà dove si trova. Se l’ho mai incontrata, almeno per caso.
Spero che abbia avuto una seconda occasione.
Mi piacerebbe abbracciarla e dirle che – dopotutto – quella sera, sono nato ancora.

Genova, Luglio 2022

Nomadi

Popoli erranti, pastori in cammino,

Nomadi,
Chiamano casa qualsiasi spazio che sta sotto al cielo
Non sentono – proprio – nessuno dei luoghi in cui hanno vissuto,
ma riconoscono qualcosa di sé in tutti.

È il destino di chi si sposta, di chi ha dato alla propria vita il ritmo di un viaggio,
Perpetuo.

Non si tratta di inquietudine, ma di indole
Niente solitudine, solo scoperta.

Treno Genova-Torino, Luglio 2022

Porte spalancate

A Genova è arrivata l’estate,
che amplifica il suono dell’acqua e, con l’aiuto del vento, lo
mescola alle voci dei ragazzi.
La gente riempie la piazza, seduta sui gradini del palazzo o sui bordi della grande fontana che – preziosa – si posiziona al centro.
A Genova è tornata l’estate,
lo sento dal profumo dei gelsomini che avevo lasciato ad aspettarmi – proprio qui – l’anno scorso.
Porte spalancate danno accesso ad un colonnato e poi ad un cortile dove – la sera – si recita e si parla.
La sera tardi, si recita e si ascolta.
Degna conclusione, a ritmo lento, di un giorno pieno di rumore.

Genova, Giugno 2022

Officina della scrittura – 16 Maggio 2022

Grazie a chi c’era, grazie #labottegadellascrittura, grazie alla realtà che – a volte – sa essere meglio di un sogno.


Articoli completi:
https://torino.repubblica.it/cronaca/2022/05/17/news/bottega_della_poesia_scrivere_con_lentezza_e_un_atto_poliamoroso-349919540/

https://torino.repubblica.it/cronaca/2022/05/17/foto/bottega_della_poesia_ecco_i_vincitori_delledizione_20212022-349920716/1/?__vfz=medium%3Dsharebar

La Bottega della Poesia – La Repubblica Torino (17 Maggio 2022)

Matrioska

Non dimenticherò mai quel cielo su Sampierdarena, celeste e pulito,
che inizia dalla metà del binario 6 e finisce dai ragazzi di via Bombrini.

È stato lui a darmi il benvenuto in questa terra di mare e di terrazze,
Di case abbarbicate sui versanti,
incastrate e multicolori
come le tessere di un grande mosaico.
Qui tutto sa di pinoli e di basilico.
Di fiori.

Genova è una città matrioska.
Infinite sfaccettature si riuniscono in un unico centro,
Scorci e paesaggi diversi accomunati da un’identità precisa.
Tutta questa complessità si riflette nel carattere della gente:
hanno la fierezza dei marinai e lo sguardo rassicurante di chi sa dosare bene le parole.

La Liguria è un balcone,
Punto di vista privilegiato davanti ad una distesa di mare
Capace di prendersi il suo spazio, di riempire l’aria.

Genova, Aprile 2022

Paris

Aveva ragione il signore conosciuto sul treno: per vedere bene la Tour Eiffel conviene accomodarsi sui gradoni del Trocadéro, aspettare che scenda un accenno di sera e gustarsi l’accensione delle luci che, con precisione ingegneristica, definiscono ogni trave, ogni asta di quella rete di talento.

Fatto questo, occorre perdersi.

Dimenticare gli itinerari, abbandonare le guide con l’ombrello e seguire il profumo delle baguette, ascoltare le voci dei Café e intrattenersi fissando i riflessi del sole nelle acque della Senna.

I ricordi di Parigi così diventano schizzi, bozzetti appena accennati da Monsieur Memoriá, che – anche a distanza di anni – si diverte a disegnare le sue scene con la cura di un artista di Montmartre.
Il tempo trascorso in quei luoghi è diventato colore.

In ordine sparso, l’album delle illustrazioni comprende:
– il grande falò che illumina Il piazzale di Notre-Dame la notte di Pasqua;
– il gesto discreto di un Pastore Protestante. La miglior lezione possibile sul concetto di dono;
– il primo kebab di sempre con patate, cipolla e tutte le salse mangiato nei Quartier Latin;
–  le mele sotto l’Arco di Trionfo;
–  le abitanti del convento del Sacro Cuore, la cetra ed i canti alla prime luci del mattino.
– le sdraio del giardino delle Tuileries, con la grande fontana ed una miriade di imbarcazioni: non vere s’intende, sono modellini di bambini.
–  i princípi rivoluzionari che si intravedono a passeggio qua e là, lungo i boulevard.

Ho deciso di lasciare che tutte queste immagini si amalgamassero, mantenendo i contorni confusi ed i toni sfumati.
Come un quadro.

Torino, Aprile 2022

La Libertà è una scelta

Non sarà mai sconfitto
Chi sceglie di essere libero
Di difendere la propria identità
Chi lotta per il bene di qualcuno,
Per proteggere una casa.

Non sarà sconfitto chi crede in un ideale,
Chi non ha paura di dire ciò che pensa.
Chi grida i propri diritti per la strada
o sussurra nel silenzio le proprie pene.

Non pazzi, ma coraggiosi
Niente illusi, solo innamorati.

Non sarà sconfitto chi
Si dimostrerà coerente,
Rispettoso dei propri valori,
così come degli altri
E – pur avendo perduto tutto – non si dimenticherà mai la dignità.

Torino, Marzo 2022

Il Teatro della Tosse

C’erano maschere e costumi,
pareti con scritte a carboncino e colorate di pastello.
Scenografie di legno e cartapesta, poltroncine rosse reclinate
e grossi panni di velluto.
C’erano vecchie locandine e tratti d’umorismo,
principesse che volano,
uomini con il violino,
animali che parlano e
abitanti di un mondo a testa in giù,
dove, per comunicare, si suona.
C’erano parole che si trasformano in figure, luci, illustrazioni e parrucche.
C’erano Luzzati e la sua fantasia,
attori di un racconto unico in cui le immagini si mescolano, davanti agli occhi come nella mente.
Era quanto di più simile a un sogno.

Genova, Dicembre 2021

Lasciatemi studiare!

Lo ripetono Layla, Francisca, Janina, Raja, Aisha, Lian, Sharbat, Claudia, Aida, Rasha, Farah, Zahira, Kamila, Patricia, Jenny.

Voci silenzione, che risuonano sotto i veli del burqa, attraversano le umide foreste di Manaus e le strade di Scampia, oltrepassano le alte cime della Cordigliera Andina ed i sobborghi di Pechino, fino alle grandi discariche ai bordi di Dakar.

Lasciatemi studiare,
con un punto esclamativo al fondo.
Sono le loro parole.

Genova, Novembre 2021

Dove nascono le storie?

Le storie nascono in un giorno qualunque,
Da un ascolto rubato, un inciampo o dal posto finestrino di un treno in ritardo.

Nascono dal rossore delle guance degli altri, da un aquilone, un cassetto o dai pensieri di chi non ha un tetto.

Alcune parlano a bassa voce e aspettano la sera per arrivare.
Altre invece, piombano all’improvviso facendosi largo in mezzo al chiasso della gente.

Bisogna assecondare, le storie.
Occorre lasciarle libere di costruirsi da sole, senza bisogno di forzarne i passaggi, né l’incipit né il finale.

Capita spesso che abbiano bisogno di tempo per evolversi. Settimane, a volte mesi, o perfino anni: serve la pazienza di chi sa aspettare.

Alcune storie si ispirano a fatti di cronaca, altre ad incontri,
che la fantasia arricchisce di dettagli mescolando la verità all’immaginazione.
Non c’è sempre un filo che le unisce. Ciascuna ha un momento preciso in cui appare perfetta pur essendo imperfetta.

A cosa serve dunque lo scrittore?
A trasportare queste idee in un mondo di parole, rifinendo le frasi con la cura di un artigiano ed aggiungendo un po’ della magia del giocoliere.

Torino, Novembre 2021

Lettera a Monsieur Monet

Cosa direbbe Monsieur Monet, se sapesse che uno dei suoi quadri è stato battuto all’asta, ieri, per 98.7 milioni di euro?

Di certo impallidirebbe se scoprisse il valore della conversione.
Lui che aveva imparato a conoscere il valore del denaro già dai tempi di Le Havre, dove si esercitava a riprodurre i visi dei passanti per un compenso di 20 franchi ciascuno.

A comunicarglielo – idealmente – sarà François Du Pret, pittore squattrinato originario di Givergny, ma domiciliato in una soffitta vista tetti di Montmartre.
Classe 1989, François si guadagna da vivere vendendo caricature in Place du Tertre, palcoscenico di lancio di tanti artisti arrivati da lontano per dipingere dal vero.

 ————–
A Monsieur Monet

Stimatissimo Maestro,
Le scrivo questa mia con la speranza di trovare, nel Suo esempio, la tenacia per continuare a dipingere ed inventare.
Mi chiamo François Du Pret, di Givergny.
Mi crede se Le dicessi che, ancora oggi, di arte non si vive?
Sminuita, dissacrata, svilita, essa viene relegata alla dimensione di una passione.
Che mestiere fai? – mi domandano tutti – ma come potrei spiegare loro che in quei dipinti c’è tutto quello che sono?
L’allegria, la commozione, tutto ciò che mi stupisce è racchiuso in quelle sfumature. Tratti, che a qualcuno possono sembrare niente, ma che io reputo i contorni della mia anima.
Ebbene Signore, so che mi comprendete o, meglio, mi comprendereste se questa lettera fosse capace di attraversare il tempo.

Trovo conforto nel futuro, in un’epoca che non vedrò, ma in cui confido.
È questa la consolaziona di un artista: credere che, chi adesso critica questo nostro modo di comunicare, possa un giorno ricredersi.

Ricredersi dicevo

Oggi, i libri parlano di Lei e dei pittori che dipingevano con le dita e c’è perfino chi è disposto ad investire una fortuna per assicurarsi una Sua tela.
Genti venute da ogni parte percorrono pezzi di mondo al solo scopo di ammirare il Suo giardino, la miriade di piante, i fiori, ed i riflessi di luce che riempiono le acque dello stagno.

Benché si sia scritto così tanto sul Suo conto, ancora nessuno – però – è riuscito ad afferrarne i segreti, il senso delle gradazioni di luce ed i motivi che si nascondono dietro l’uso di quelle tonalità.
Sono certo che questo non possa che renderla felice; riderebbe, probabilmente, osservando illustri studiosi che si prodigano a trovare un significato oggettivo a qualcosa di così tanto soggettivo.

Grazie per quello che mi ha (ci ha) lasciato: un tesoro di colori, unito a tanti punti di domanda.

Con tutta la stima che posso,

François Du Pret

P.s Le sue ninfee ci sono ancora.
—-‐——-

Torino, Novembre 2021

Dove il tempo non conta

Casa è quel posto dove il tempo non conta
Dove si conoscono gli angoli e si sanno i percorsi
Tanto da riuscire a camminare al buio, senza bisogno di luce.
Casa è profumo di salsa e di panni.
È il verde dei viali e la voce dei mercati.
Sono le montagne, là in fondo, ricoperte di storie come di neve, l’inverno.
Casa è un album di volti.
Sono i visi di sempre – alcuni –
altri sono perfetti sconosciuti, che pure sono familiari.

Casa è quel luogo che non sarà mai distante.

Treno Genova-Torino, Ottobre 2021

Il signore smemorato

C’era un signore che non ricordava mai niente.
Usciva lasciando le chiavi di casa sul comodino e, dopo una lunga passeggiata, era costretto a rientrare scavalcando il muretto del giardino.
Camminava imboccando strade a casaccio, ma poi si perdeva e puntualmente lo ritrovavan lontano, in qualche ambientaccio.
Beveva un cappuccino come sempre, al mattino. Ma poi guardava l’orologio e realizzava che era già sera, l’ora di un bel sonnellino.
Era davvero sbadato, s’intende, qualsiasi cosa facesse lui sbagliava sempre.

Un giorno in un campo s’imbatté in un passerotto: aveva un’ala spezzata, cinguettava di dolore ed appariva sfatto.
Il signore smemorato lo portò nella sua cascina, lo medicó e lo nutrì con acqua e farina.
Il passerotto presto si fortificó fino a quando, un bel giorno, all’improvviso se ne andò.
Il buon uomo, al suo risveglio, non pianse naturalmente. Aveva dimenticato tutto, per lui non era accaduto niente.

Questo è il grande insegnamento che il signore vuol rappresentare: dopo aver fatto un poco di bene, voltare pagina e dimenticare.

Torino, Ottobre 2021

Sopra i tetti di Gerusalemme

Ho aspettato che il Sole andasse a dormire
ed il brulichio di gente che, di giorno, percorre i vicoli del Sūq lasciasse spazio al silenzio dei passi.
Le botteghe sono chiuse, non si sentono più le voci dei baratti e delle contrattazioni.
Perfino i profumi delle spezie riposano, insieme a quelli dei datteri e dei melograni che, colorati, ricoprono di solito le bancarelle dei mercanti.
Non ci sono più turisti che attraversano le porte di Damasco e di Jaffa,
né le grandi mura che avvolgono quel pezzo di mondo, in cui ebrei ortodossi, cristiani e musulmani abitano sotto lo stesso spicchio di cielo.
È questo il momento in cui salire sopra i tetti di Gerusalemme.
È l’ora del ṣalāt al-ʿishāʾ, la quinta delle cinque preghiere obbligatorie previste dall’Islam.
Le voci dei muezzin riempiono il tempo, mescolandosi come un dolce canto che arriva da ogni parte.
Quel suono affolla gli spazi e vola sopra le piazze, tra le case, fino a sfiorare i campanili delle chiese.
Dall’alto la percezione dei luoghi cambia: anche le luci più piccole sembrano grandi, le distinzioni si perdono e le strade che delimitano i quartieri scompaiono diventando un insieme.
Secoli di storia sono proprio lì sotto, tutt’attorno, spettatori di quel concerto che emozionerebbe anche chi non può vedere.

Agosto 2021
(Ricordi di viaggio – Gerusalemme, Gennaio 2020)

Bisogna sempre rispondere ai bambini

Bisogna sempre rispondere ai bambini.
Semplificare i concetti, trasformare idee complesse in pensieri semplici,
usando anche parole che non conoscono.

– Cosa sono quelle?
– Sono le traversine, che tengono vicini i binari e li fanno stare insieme.

Adattare il proprio linguaggio. Adattarlo a loro, mescolando la realtà ad un po’ di fantasia.
Dove “mescolare” non significa stravolgere la verità, ma addolcirla appena.

– Papà, ma quando è buio i treni dormono?
– Alcuni viaggiano, altri dormono. Si riposano e li puliscono per l’indomani.

Bisogna incuriosirli. Convincerli che esiste una risposta – quasi – ad ogni domanda.
I bambini desiderano solo che li si aiuti a leggere delle storie.
Favole, con le sembianze di ciò che li circonda.
Per capire, per imparare.

– Quella laggiù, che cos’è?
– Quella è la Lanterna. La Lanterna magica.

Genova (Appunti di viaggio, tra Stazione Brignole e Sampierdarena), Agosto 2021

L’uomo del treno

Io mica l’ho capito quest’uomo, che legge di filosofia ed indossa scarpe con lo strappo. Ha con sé due valigie preparate alla rinfusa, che ha aperto e richiuso quasi dieci volte nello spazio di 180km. Al loro interno ci sono oggetti vintage, walkman, dischi impolverati e cassette di vecchi cantanti, palline da baseball e da ping pong avvolte dai calzini ed alloggiate tra un porta sapone e dei vecchi rasoi da barba.
Un k-way, magliette mal piegate ed un paio di cuffie del ’33.
Un’arancia, documenti sparpagliati, un orologio – penso – rotto, batterie di ogni sorta ed una miriade di altri oggetti ammucchiati a casaccio.
Apparentemente, perché quando si hanno solo due valigie a disposizione l’interno non può essere casuale.
Il nostro viaggiatore trascorre il tempo ascoltando le sue cassette, sostituendo pile e riparando quell’insieme di oggetti senza una logica, senza una logica.
Stazione Principe è la sua destinazione.
Raccoglie le sue cose, ricompone quei bagagli così bizzarri e scende.

Arrivederci Signore.
Continua a prenderti il tuo tempo.
Ad ascoltare quello che ti piace sentire,
Ad aggiustare quello che non si può riparare,
A portare i tuoi oggetti retró sui treni che corrono.
Chissà cosa ti aspetta.
E chissà se quel walkman funzionava davvero.

Appunti di viaggio (Treno Torino-Genova), Agosto 2021

Gli Spigolatori

Né contadini né proprietari terrieri,
gli Spigolatori uscivano come ombre alle prime luci del mattino.
Si spostavano a piedi o accompagnati da un piccolo carretto
e nel silenzio raggiungevano le campagne del Tavoliere,
portando con sé robusti sacchi di iuta e grandi ceste vuote dal valore inestimabile.
Con pazienza, riempivano i loro scrigni con i tesori della terra: lampascioni, cicorie selvatiche e rucola; frutti maturi, nascosti tra le foglie, ed una gran quantità di olive, sfuggite alle reti del raccolto e pronte ad essere portate al frantoio.
Radunavano le spighe di grano arso dimenticate dai mietitori e bruciate insieme alla ristoppia, poco prima del sovescio.

Non si trattava di un furto, ma di un regalo. Un gesto di umana compassione fatto da chi aveva tutto verso chi non aveva nulla.
Non c’erano parole, né accordi, solo l’impegno a dedicarsi a quest’attività senza intralciare il lavoro dei braccianti.
In quei forzieri c’era ‘la giornata’: un niente, che per loro era tutto.

Torino, Luglio 2021

È quasi estate

Dalla finestra vedo la facciata di una casa dipinta.
Altre, scrostate dal sole, mostrano i segni di un vento di salsedine,
che avvolge questi luoghi e li riempie, mescolandosi al profumo di gelsomini.
Il loro odore è stato una costante di queste prime tre settimane genovesi: qualcuno dei poggioli a fianco, forse, li coltiva.
O magari si tratta soltanto di uno scherzo della mia immaginazione, per ricordarmi l’avvicinarsi dell’estate.

Genova, giugno 2021

La strada che arriva al mare

Il treno parte sempre lento lento.
Abbandona Porta Nuova scivolando su lunghe file di binari, avvolti dal sole basso del pomeriggio e circondati dalle erbe che crescono, spontanee, negli spazi dimenticati dal pietrisco.
Dopo pochi chilometri la città lascia il posto alla campagna ed il reticolo di vie diventa una scacchiera di campi.
Alcuni sono già rigogliosi, di cereali e di ortaggi.
Altri invece, già arati, sono a riposo e dovranno aspettare ancora un anno prima di essere seminati.
Di tanto in tanto si vedono chiazze colorate, alcune sparute altre più estese: sono i papaveri, che hanno atteso l’arrivo del caldo per fiorire.
Loro non chiedono dove nascere, sono li’ solo per addolcire il viaggio.
Torino Lingotto, Asti, Alessandria, il paesaggio non cambia fino a Novi Ligure: poco oltre infatti, una linea invisibile separa la pianura dalla collina.
Il treno procede ed il segnale del telefono inizia a mancare.
Serravalle Scrivia, poi Arquata Scrivia: piccoli borghi adagiati tra le alture, distesi sulla terra come giganti addormentati a pancia in su.
Dal finestrino si vedono tetti fatti di lose, che corrono veloci intervallati dagli alberi e dalle siepi.
Poco oltre si arriva a Ronco Scrivia.
L’aria si raffresca ed iniziano le montagne. Gallerie scure ne consentono il passaggio e ne custodiscono i segreti: sono frutto dell’ingegno di uomini, cacciatori di luce, che hanno saputo guardare oltre.
Quando il buio finisce il paesaggio si allarga. Case arroccate avvisano il viaggiatore che è quasi arrivato.
Lì in fondo c’e Genova.
Con le grandi barche ormeggiate in porto e la Lanterna, faro guida che ne sorveglia l’ingresso.

È il percorso che da casa mi porta a casa.
La strada che dalle montagne arriva al mare.

Genova, Giugno 2021

Quel momento della sera

È cosí.
Arriva un momento in cui il mare si fa cielo ed insieme diventano scuri, in un’unica macchia color notte.
Il fruscio delle onde si accavalla a quello della gente, che passeggia su e giù per la riviera in una tipica danza d’estate.
I pescherecci si trasformano in luci
astri capovolti, sparpagliati qui e là.

Il profumo degli oleandri si mescola a quello del torrone e delle mandorle tostate, sempre più intenso man mano che ci si avvicina alle bancarelle, davanti al vecchio cinematografo.

La sera non è che un giorno alla rovescia, l’inizio di qualcosa che comincia dalla fine.

Febbraio 2021
(Appunti di viaggio, estate 2020)

Una vita a quattro ruote

Valerio non sa stare fermo.
È un avventuriero di professione che, da sempre, si sposta
raccontando il mondo che lo circonda armato di matita e pennello.
I suoi incontri si trasformano in linee
e punti, che uniti diventano schizzi,
arricchiti da qualche tocco di acquarello qua e là:
ciò che serve per animare le scene
e trasportare l’osservatore nel contesto.

Abita una casa a quattro ruote,
grande abbastanza per non aver bisogno di altro.
Un motorhome su Ducato dell ’89,
acquistato con gli ultimi 4.500 euro di un conto in zona rossa,
e tramutato nell’atelier di un artista giramondo.

Per lui la vita in camper è un lusso.
Decide il nome della fermata ed il tempo della sosta.
Quanto basta,
per mangiare un panino sulle sponde del lago di Bolsena,
dormire sulle coste di Anzio, guardare l’alba 
e poi salire su, fino ai margini di Sermoneta.
Passeggiare tra i vicoli del borgo e riempire il suo album di storie:
non solo di uomini, ma anche di aneddoti,
leggende ascoltate dalle voci degli anziani
e profumi,
che poi trasporta sul foglio con la delicatezza di un poeta.

Dopo aver assorbito l’anima di un  posto, riparte.
Senza preavviso, rimette in moto
e sceglie un altrove in cui ricominciare.

Poco importa che si tratti di un paese di campagna, la piazzola vicino ad un campo di papaveri o un parcheggio vista fiume.
Perché una strada porta sempre da qualche parte,
anche quando non si ha una destinazione.

Febbraio 2021

Ha segnato la Juventus

“Ha segnato la Juventus”
Lo sta ripetendo Francesco Repice ai microfoni radio di #Tutto Il Calcio – Minuto per minuto.
Eppure, se chiudo gli occhi, lo sento gridare dagli altoparlanti dello Stadio delle Alpi e poi del Comunale, fino a raggiungere anche lo Stadium.
Li vedo tutti davanti a me.
C’è il gigante Charles, in cerca della posizione per il miglior colpo di testa.
Omar Sivori, che ondeggia sul pallone con i calzettoni bassi e senza i parastinchi.
Nedved e Zidane che danno lezioni di dribbling, Di Livio che scatta sulla fascia destra fiutando il cross perfetto.
Furino al centro, capitano generoso a cui non piace farsi chiamare bandiera.
Ai suoi lati Tacchinardi ed Andrea Pirlo, geometri, pronti ad inventare sponde, passaggi filtranti e lanci da quaranta metri.
Vedo Torricelli, ancora con i capelli scuri. Lui, il falegname che ha vinto la Coppa dei Campioni partendo dalle interregionali.
Sfilano poi Boniperti e Tardelli, nei cui occhi intravedo il gol segnato alla Germania nei Mondiali dell’82.
Quello laggiù invece è Del Piero, con un piede a forma di pennello, capace di dare il giro al pallone dipingendo traiettorie imprendibili per i portieri. Stringe tra le mani una maglietta, taglia S, che porta il suo nome: è quella che mi aveva regalato Zio Paolo per la Pasqua del ’97.
Barzagli, Bonucci e Chiellini, guardiani dell’area di rigore e professori della difesa.
Tra i pali c’è Buffon, con Tacconi e Dino Zoff alle sue spalle, angeli custodi pronti a suggerirgli l’angolo verso cui lanciarsi.
In sottofondo sento i fischi di Trapattoni arrivare dalla panchina e le parole di Lippi. Allegri, che corregge la posizione del centrocampo e Antonio Conte, che con l’ultimo filo di voce richiama tutti all’attacco.
È una festa, che unisce centoventiquattro anni di storia a strisce bianco-nere, generazioni di giocatori ed altrettante di tifosi.
È l’esultanza di un popolo che si alza dai mari della Sicilia e attraversa la spina dorsale degli Appennini fino ad arrivare qui, ai piedi delle montagne.
Ha segnato la Juventus, si.
“La Juventus è in vantaggio”.
 
Febbraio 2021

Conversazioni irrealizzabili: Re Vittorio Amedeo II – Siùr Felice

  • Venga avanti. Mi risulta che Lei sia stata l’ultima persona ad incontrare Pietro Micca. Iniziamo dal principio, come vi siete conosciuti?
  • Maestà, l’era piemuntéis cmè mi..
  • In italiano, faccia uno sforzo
  • Siùr Pietro era piemontese Maestà, come me. L’ho conosciuto nel 1703.
    Ci siamo arruolati insieme nella compagnia dei minatori dell’esercito sabaudo.
  • Gli informatori mi dicono che era piuttosto bravo, lo conferma?
  • Brava persona si, gran lavoratore. A Turìn lo chiamavamo Passpartout: avrebbe dovuto vedere Maestà, con che velocità scavava i cunicoli. La roccia aveva più paura del suo piccone che dei cannoni francesi.
  • Aveva una certa esperienza dunque
  • A l’amparà la profession da so pare, Siùr Giàcomo, da quand ca l’era un fanciot.
  • Non la comprendo
  • Era una persona comune, Maestà.
    Mica un grande condottiero, ma uno scalpellino, un semplice taglia pietre.
  • Vada avanti
  • Nel maggio del 1706 ci hanno mandato a difendere Turìn. In pochi giorni abbiamo visto La Feuillade circondare la Cittadella con 44000 uomini e artiglieria d’assedio. Bombarde da far tremare la terra Maestà.
  • E voi?
  • Pronti a resistere Maestà. I reparti erano in posizione ed una rete di 14km di gallerie di mina e contromina era stata scavata tutt’attorno. Posso giurare che noi eravamo pronti a darle la vita, Maestà.
  • Mi risparmi le sviolinate. Arriviamo alla notte fra il 29 e 30 agosto del 1706.
  • Come posso dimenticarla. Io e Siùr Pietro eravamo di guardia alla porta delle scale che collegavano la galleria “Capitale alta” alla “Capitale bassa”. Poco dopo la mezzanotte abbiamo sentito degli spari, le grida delle sentinelle ed i passi dei granatieri francesi che avanzavano verso di noi.
    La linea aveva ceduto Maestà, erano riusciti ad entrare.
  • Continui
  • Nella nicchia al di sotto della scala c’era un fornello con 20kg di polvere da sparo. Dovevamo solo collegarlo alla miccia.
  • Cos’è successo dopo?
  • L’innesco non è partito Maestá. L’umidità aveva bagnato la stoppa ed il tempo era così poco. Siùr Pietro mi ha detto: «Gâvte da lì, tì ‘t’ses pi lungh ëd na giurnà sènsa pân! Lassa fé a mì, pènsa a salvéte!»
  • Le ho chiesto di.. 
  • “Alzati, che sei più lungo di una giornata senza pane! Lascia fare a me, pensa a salvarti!”
  • Adesso capisco
  • Mentre correvo ho sentito il boato dell’esplosione. La scala è crollata e del povero Siùr Pietro non si è saputo più nulla.

————————
Lo trovarono nella galleria inferiore, sbalzato di 40 passi dal punto della deflagrazione.
Pietro Micca divenne l’eroe di quella battaglia e della città intera.
Alla vedova Maria Pasqual Bonino fu garantito un vitalizio di due pani al giorno. 

Torino, finalmente, sapeva a chi essere grata.


Febbraio 2021

Martedì grasso

Benvenuti a lor Signori,
che son qui senza preavviso.
Noi non siamo saltimbanchi,
ma maestri del sorriso.
Colorati sì e bizzarri, certo,
ma sgarbati proprio no,
e irriverenti men che meno.
Noi calchiamo un po’ i difetti
non i nostri, sia ben chiaro,
ma i vostri, brava gente,
e dei tizi che incontriamo.
 
Venite dunque, non temete,
prendete posto, avanti su, sedete.
Una sola richiesta sia palese:
sospendete i giudizi
ed abbandonate (per un momento) le pretese.

Siete qui per divertirvi
E di risa uscire curvi.
Se di noi vi fiderete,
per l’Italia viaggerete;
stando fermi s’intende, senza trucchi,
ma aprendo soltanto orecchi ed occhi.
 
Turin c’è siùr Gianduja,
un bonario polentone,
con tricorno e giacca marrone.
 
Milan l’è Meneghino
che può esser un mercante
o, all’occorrenza,
uno sciocco contadino.
 
Bèrghem vi è Brighella,
con Gioppino ed Arlecchino;
servitore pigro e scapestrato,
architetto di disguidi e truffe
che non danno mai alcun risultato.
Passeggia con una giubba fatta di ritagli
di pezza colorata, stralci dei costumi degli altri,
di rimasugli.
 
Ebbene,
è innamorato sapevate?
Ha un nodo intorno al cuore, a quanto pare;
e conoscete chi lo tiene all’altra cima?
 
Signorina maliziosa, furba e chiacchierina,
cameriera veneziana,
in poche parole, la bella Colombina.
 
Raccoglie moine e complimenti da ogni viandante,
ma attenzione alle audaci lusinghe di quel mercante;
proprio lui, l’avaro Pantalone.
Eh sì perché, capirete Signori, a Venezia c’è il pienone.
 
Proseguendo un po’ incontriamo un brontolone,
finto erudito, bolognese di nascita
dottor di professione. È Balanzone,
che mescola il dialetto alle favelle
come un qualsiasi comune cialtrone.
 
A Perugia c’è il Bertoccio,
A Roma, invece, il Rugantino.
Figlio del popolo, rozzo, ma genuino.
Se ne sta sdraiato tutto solo,
in compagnia solo del vino
Pensando alla sua bella e
cantando fino alle luci del mattino.

E arriviamo, finalmente, al golfo di Napoli, laggiù.
Sapete dirci bei Signori, quale sia l’artista conosciuto di più?
Ma è Pulcinella, Jamm jà.
Un birbante truffaldino,
vestito di bianco e con naso aquilino.

A dispetto di tutto è simpatico e affabile
ed è proprio questo che lo ha reso inossidabile.
È amato da tutti, dall’anziano al bambino.
Perciò lo abbiamo eletto il simbolo di questo nostro teatrino.
 
Adesso però basta, è tempo di iniziare.
Il carnevale non aspetta, dobbiam darci da fare.
Sbizzarritevi, soddisfate con l’allegria la vostra sete
siamo sicuri che qui con noi vi divertirete
e vi saremmo grati se alla fine, poi, ci applaudirete.
Non ora certo, ma quando la notte finirà,
quando l’ora di salutarci puntuale arriverà.
 
Noi viviamo per questo, sapete?
Siamo maschere, non ci deludete.
 

Gennaio, 2021

Se dovessi

Se dovessi scrivere una storia d’amore l’ambienterei in Boemia.
Adagerei sullo sfondo le acque tranquille della Moldova e lascerei che, a scandire il tempo, ci fossero i rintocchi del grande orologio che domina sulla città vecchia.

Racconterebbe di Franz ed Anežka, del primo ballo fatto sul palco sgangherato di una festa di quartiere. Sentiremmo le loro risate, seduti ai tavoli di una locanda di Praga, mangiando vero gulasch e bevendo la migliore Pilsner di tutta la città.
Labbra tese come archi
ed occhi a forma di fessure,
Li vedremmo innamorarsi con la velocità di uno sguardo
Così limpido da non riuscire a nascondere neppure la timidezza.

Li seguiremmo a passeggio sopra le pietre del Ponte Carlo,
tra l’incedere indiscreto di dame con l’ombrellino e gentiluomini con bastone e cappello.

Li accompagneremmo a casa, lasciandoli davanti all’uscio proprio nel momento dei saluti.

Quanto tempo è passato?
Meno di un giorno, risponderebbe l’orologio.
Loro, invece, direbbero che si è trattato di una vita intera.

Gennaio 2021

Lo scrutinio

31 Dicembre.
È giornata di scrutini all’istituto Comprensivo AnniVenti di Torino.
Intorno ad un grande tavolo di mogano si sono riuniti i docenti del corso D.
Si discute del più anziano della classe, Venti-venti, un curioso giovanotto che alterna sprazzi di creatività ad una pelandronaggine da manuale.

Ebbene – disse la Sig.ra Preside – cominciamo:

Storia voto 7 – Lascia il segno. Ha fatto di tutto per entrare nelle pagine dei libri, battendo al fotofinish la Peste del ‘300. Ha provocato la più grande emergenza sanitaria mondiale, una quarantena che non si vedeva dai tempi di Boccaccio, la caduta e l’inizio della rinascita.

Scienze Naturali 5 – Poteva fare di meglio. Slanci apprezzabili nei mesi primaverili, con la riduzione dell’indice di smog ed un bell’assist alle specie in estinzione, a cui però è seguito un drastico calo estivo ed autunnale. Poco ecologico, carente sulla raccolta differenziata.

Matematica 6 – Tirato. Se la cava con le basi di statistica ed i principi di contabilità. Discreto nel calcolo degli integrali, ma pessimo nella comprensione dei limiti.

Musica 6 – Propositivo. Inizialmente aveva un blocco verso questa disciplina ed ha provato in ogni modo a trascurarla. Con il trascorrere del tempo si è ripreso, inneggiando cori domestici e proponendo concerti in streaming o esibizioni sotto forma di stories.

Geografia 4 – Fobico. Non ama viaggiare, preferisce lo studio a tavolino allo spirito d’avventura ed ha un atteggiamento troppo pantofolaio. Ha fatto annullare la gita d’istruzione e condizionato le vacanze dei compagni.

Scienze sociali 4 – Misantropo. Rifugge il contatto umano, si scansa di continuo. Ha paura del diverso – dice.
Ma paura di cosa?! Buttati.

Italiano 7 – Creativo. Ha trasformato gli sguardi incorniciati dalle mascherine in parole e gli occhi della gente in canzoni.

– Signori, riassumendo, qui vedo due insufficienze gravi ed una lieve, possiamo scrivere il giudizio?

Il ragazzo ha delle potenzialità, ma non si applica. Deve maturare velocemente se non vuole restare indietro. Apprezzabili i tentativi di ripresa, ma serve più continuità.
Si consiglia un ripasso intenso, con particolare attenzione ai principi di coraggio e libertà, ed una maggiore partecipazione alla vita della classe.
Promosso (con riserva).

D’accordo – proseguì la Preside – direi che è il momento di passare al prossimo. Leggo qui: Venti-ventuno. Cominciamo.

Torino, 31 Dicembre 2020

Il Carnevale di Corso Racconigi

Il mercato è un carnevale.
Una baldoria di voci e profumi,
in cui, al posto dei carri, sfilano i banchi.
Una miriade di banchi squadrati,
fatti di assi e ferro,
che per l’occasione scelgono di travestirsi di colori.
Trasportano un carico di semi e verdure di ogni genere
Barattoli e prosciutti, pesce seccato e grandi forme di formaggio,
pronte ad essere tagliate per la prima volta.
È una grande festa, a cui partecipano perfetti sconosciuti.
La vita dei passanti si intreccia con quella dei venditori,
che aspettano pazienti,
richiamando l’attenzione con gesti di umorismo e stornelli improvvisati.
Ci sono avventori che camminano di fretta,
Anziane dame che avanzano trionfanti al braccio di cavalieri in pensione,
Mariti che si fanno largo spingendo una lista a forma di carrello
(stringono il telefono per un consulto dell’ultimo minuto
e sperano di non aver fatto confusione).
I bambini corrono, per loro è sempre un gioco,
mentre alcune coppiette ondeggiano tra i corridoi di cassette tenendosi per mano:
non vogliono nulla, sono venute solo per guardare.
 
“Madamìn, buongiorno, assaggi questi mandarini”
“Così non le avete mai viste, guardate che cime di rapa”
 
È una sarabanda di prezzi e quantità:
2kg di melanzane 1.5€,
5 Carciofi 2€, 10 Carciofi 3.5€
Pomodori pachino, cuore di bue, San Marzano
“Tutto ad 1€ al chilo, forza!”
Cavolo rosso e cavolo verza, broccoli,
Fave e arance di Sicilia,
Patate originarie del Sudamerica, ma che coltivano in Val di Susa.
 
Corso Racconigi è così,
il grande teatro di un carnevale a cielo aperto
dove si festeggia ogni giorno (sabato incluso).
 
Torino, Dicembre 2020

Traccia #2 – La leggenda del pianista sull’oceano

Un cenno della sua bacchetta pose fine al silenzio.
Per prime entrarono le arpe.
47 corde, pizzicate una ad una.
Poi lentamente si aggiunsero gli archi,
cui si sovrapposero i tromboni e le trombe.
Viole e violini scandivano il tempo
Ed archetti di legno ondeggiavano nell’aria disegnando una coreografia,
come se sapessero esattamente dove andare.
All’improvviso iniziò un ronzio,
simile ad uno sciame di api nei prati d’estate.
Era il suono dell’attesa,
Il tremore di chi aspetta che qualcosa di grande succeda.
Ed ecco, l’esplosione.
Lui aprì le braccia e si sollevò una voce di strumenti.
Corni inglesi, violoncelli, flauti, percussioni
si muovevano in armonia come dita di un’unica mano
dipingendo, con il suono, le immagini di un racconto.
Niente colori, solo note.
Una marea di note insieme,
legate l’una all’altra dai fili del pentagramma.
Incastonate, come gemme, nella partitura.
Era un’emozione,
che da sola investiva quella sala di occhi luccicanti
Era la musica.
Quella che esce dagli spartiti e arriva dritta al cuore.
 
Torino, Novembre 2020

Buon non-compleanno Herr Berliner Mauer

Era la sera del 9 novembre 1989.
Nel silenzio di una sala gremita, risuonarono le domande del corrispondente italiano Riccardo Ehrman, rivolte al funzionario tedesco Günter Shabowski:
– Vale anche per Berlino Ovest?
– Si, per tutte le frontiere.
– E da quando?
– Su questo foglio non c’è scritto, però sicuramente da questo momento.

Era iniziata la caduta del Muro di Berlino.
Una linea, che per quasi tre decadi aveva diviso innamorati e mondi, impedendo loro perfino di guardarsi.

Mi ha meravigliato leggere che, uno dei pochi diritti concessi in quel periodo, riguardava la possibilità di scrivere delle lettere.
La corrispondenza era controllata, ma non del tutto vietata.
Ed è così, che per 28 lunghi anni ci si è voluti bene attraverso un foglio di carta. Grazie a quella grafia, che “raccontava” tutto ciò che non si poteva dire, facendo intuire al destinatario il reale stato d’animo del mittente.

“Mio caro Christoph, 
[…]
so bene che in questo momento tu sei molto triste.
Ti abbraccio forte, ti bacio, ti accarezzo, appoggio la mia bocca sui tuoi occhi. Non essere triste, io tengo duro e sono convinta che il nostro amore sarà più forte di ciò che attualmente ci separa.
Per sempre tua, Dorothea.”

Dorothea aveva 19 anni e Christoph 21.
Non potevano immaginare che i loro nomi avrebbero attraversato il tempo, per arrivare sin qui.

Di loro resta questa storia, iniziata dalla fine,
Insieme a quei valori,
Quella fede,
Quel filo invisibile che ha continuato a tenerli uniti.
Un laccio, capace perfino di farli ritrovare.

Buon non-compleanno Herr Berliner Mauer

Torino, Novembre 2020

Lezione ad un’aula vuota e ad una classe piena

Buongiorno ragazzi,

Oggi niente spiegazioni.
No no, nessuna vacanza, non fraintendetemi.
Ci prendiamo semplicemente una piccola pausa da formule e schemi.
Loro possono aspettare.

Voi no.

Mi fa effetto vedere i banchi spogli e voi a casa, ciascuno davanti al proprio schermo, vestiti di tuta e pantofole, con a fianco la tazza del caffè-latte ancora caldo.

Si è pensato tanto all’effetto che questi mesi avranno sull’istruzione, sulla difficoltà di terminare i programmi a distanza, sui problemi logistici (..), ma per me andrebbe sottolineato ancor di piú l’aspetto umano che, in fondo, è il motivo per cui siamo qui.

La scuola è uno strumento di relazioni.
Un posto magico in cui nascono amicizie, si scoprono i primi amori e si sviluppa la passione per una materia che, con il tempo, qualcuno trasforma in una professione.

Non buttate questa occasione.
Non lasciate che questi mesi siano un corto circuito nella vostra vita, diventando spettatori del tempo.

Inventatetevi qualcosa.

Siate diversi dagli altri,

Commuovetevi per una carezza,

Respirate tutto quello che c’è intorno.

Accettatevi.

È nell’imperfezione che si nasconde la vera bellezza.

Coltivate un interesse, siate creativi, viaggiate stando fermi.

Accendete la curiosità.

Siate coraggiosi, ma non folli.

Indossate le ali di Icaro,
Avvicinatevi al Sole, ma cambiate il finale.

Siate la vostra rivoluzione.

Che questa classe sia una miccia.

Torino, Ottobre 2020

Viaggio in Italia – La Lombardia

Brescia ed io ci eravamo sempre visti, ma mai conosciuti.
Ci siamo incontrati per la prima volta in una mattina di luglio.
Mi ha accompagnato per le vie del centro, raccontandomi la storia di una terra di sorprese: di Tito Speri e del coraggio di chi, per X Giornate,
non si è piegato al giogo dei conquistatori.
Eroi, che con il loro impeto le sono valsi l’appellativo di Leonessa d’Italia.
 
Mi è stata simpatica a prima vista.
Da quel giorno sono tornato a trovarla più volte.
Ho percorso a piedi i vicoli e le piazze, ascoltandone il dialetto e scoprendone le arti:
Le luci, che a febbraio colorano le mura del castello.
La gastronomia, che ha nei Casoncelli e nello Spiedo le sue specialità.
Le macchine, che ad ottobre sfrecciano per le strade di una corsa storica.
Mille miglia di motori, di numeri, di generazioni di piloti che arrivano da tutto il mondo per aggiudicarsi una gara di regolarità.
Camminando tra i Fori e la Loggia si passeggia sopra i secoli.
Un viaggio lunghissimo, che mi ha portato fin giù,
dove oscuri canali sotterranei accolgono le acque fredde del Bova e del Celato
Amplificandone le voci e custodendone i segreti.
 
Uscendo appena dalla città il paesaggio cambia.
La pianura lascia il posto ad una distesa di colline,
interrotte di tanto in tanto da piccoli borghi medioevali,
Abbazie (come quella di Rodengo Saiano) e conventi,
testimonianze che parlano del passato di questa zona,
sosta obbligata per i pellegrini diretti a Roma.
 
C’è poi un posto, dove la terra è soffice come un materasso.
È adagiato tra i filari della Franciacorta e la sponda orientale del lago d’Iseo,
protetto dall’antico Monastero di San Pietro di Lamosa, che ne sorveglia l’ingresso.
Sono le Torbiere del Sebino.
 
Qui il tempo è scandito dal canto della rana, regina delle paludi
e guida fidata di chi vuole scoprire la biodiversità di questi luoghi.
 
Poco più in là c’è Iseo, con il suo lago.
L’ho navigato controvento fino a raggiungere Monte Isola,
uno spazio di terra circondato dal blu, dove le vetture sono oggetti immobili, parte dell’arredamento,
ed i maestri d’ascia costruiscono le loro barche come si faceva cinque secoli fa.
Ho provato l’esperienza di camminare nel silenzio, avvolto dal profumo delle ginestre, dei tigli, dei bucaneve e delle genziane.
Ascoltando le storie di vecchi pescatori e mangiandone i tesori su una tavola imbandita:
Carpe, Tinche ripiene e Lucci,
affumicati, marinati e accompagnati in ogni forma dalla polenta.
 
Più ad est, c’è il Garda.
Una costa frastagliata di paesi e terrazze, che sanno d’estate.
Salò, Desenzano, Gardone Riviera
Palcoscenico della fantasia di un Poeta pazzo e generoso,
che vive nella delicatezza dei suoi versi
e respira tra i resti di ciò che ha donato.
 
Una perla, Sirmione.
Conosciuta dalla notte dei tempi per la salubrità delle sue acque
Fu cantata da Catullo ed abitata dagli Scaligeri,
che qui costruirono torri e mura merlate.
Un castello,
che vanitoso si specchia tra i riflessi del Lago.
 
Scenografico sì, ma esile in confronto alle possenti mura veneziane di Bergamo,
che mi aspetta, più ad ovest, per farmi vedere l’eleganza dei suoi palazzi e delle chiese.
L’ho osservata guardandola attraverso i suoi archi ed affacciandomi alle sue balaustre.
Incrociando i miei passi con una serie di bizzarri abitanti: una moderna cleopatra color dell’oro ed un’anziana, estimatrice di thè e di cappelli, vestita di prati.
 
Proseguendo a sud si raggiungono le terre dei Signori di Mantova,
mecenati illuminati, i Gonzaga, che alla loro corte valorizzarono la creatività di artisti sconosciuti ed ospitarono pittori rimasti impressi nell’eternità dei loro dipinti.
 
Pochi chilometri le separano da Crema (la taciturna) e sua cugina Cremona,
patria del bollito e del violino,
le cui note echeggiano nei vicoli, inframezzate dal suono delle campane.
 
Ad Ovest la grande Milano, città della moda e della musica
del teatro, dove genti venute da ogni mondo sognano di esibirsi.
Qui Leonardo diede sfoggio del suo ingegno più puro
E gli architetti sfidarono la gravità,
costruendo le guglie di una cattedrale protesa verso il cielo.
 
C’è da perdersi tra le storie racchiuse in ogni palmo di questa regione.
Troppe per un foglio di carta.
Dimenticate quindi queste righe.
Partite, con uno zaino pieno di niente
Fermatevi ad ogni borgo, chiacchierate con gli sconosciuti,
mangiate nei posti che non hanno l’insegna.
Nascerà così il più bello di tutti i racconti.
Un viaggio.
 
Torino, Ottobre 2020
(Appunti di viaggio – Lombardia 2019-2020)

Don’t forget 1993

Mostar è bella anche quando piove.
Le gocce bagnano i ciottoli della città vecchia e scivolano giù, fino a riunirsi alle acque della Neretva.
La chiamano la città della rinascita.
Della ricostruzione,
Cominciata proprio dal suo simbolo,
Lo Stari Most.
Un ponte nella terra dei divisi,
che da cinque secoli assiste allo scorrere degli eventi e che, oggi, sorveglia i turisti curiosi che lo attraversano.
Al fondo, una scritta:

“Don’t forget 1993”

È una storia che non si dimentica, ma si trasforma.
Lo sanno bene i ragazzi di questa regione, che sono riusciti a disegnare sopra i segni della guerra.
Lo hanno fatto, colorando gli scheletri dei palazzi sventrati e giocando con le impronte dei colpi dei mortai per creare murales fantasiosi.
Colori e forme, modi diversi per raccontarsi e ricordare.

Torino, Ottobre 2020
(Appunti di viaggio – Bosnia Erzegovina, Febbraio 2020)

Comunque vada prendiamo un ghiacciolo

Le porte sono tra le bici verdi e quei vasi.
Il “fuori” non esiste, il campo finisce dove arriva la palla.
– Non sarà troppo grande?
– Correte a prenderla allora, prima che vada troppo lontano.

Niente scarpe, si gioca a piedi scalzi.
La gente che passa, dettagli.
Le squadre:
– Siamo noi contro di voi.
– Voi chi? Siete tanti!
– Ma cosa importa, butta la palla, giochiamo.

Fu una partita memorabile: 105 minuti di scontri, colpi di tacco e ginocchia sbucciate, sole che scotta, fiori recisi e biciclette cadute.
Alla fine nessuno si ricordava più il nome degli altri, né l’età o la provenienza.
– Ma eravamo insieme. E quel ghiacciolo, mangiato per mescolare vincitori e sconfitti, era il più buono del mondo.

Porto Recanati, Agosto 2020